Sono stato a Lucca Comics and Games venerdì, il primo giorno della manifestazione. Questo anno il tendone che ospitava Lucca Games era suddiviso grossomodo in tre settori: Videogiochi; Fantasy; Giochi storici con un buono spazio dedicato al wargame.
La mia può essere un’impressione falsata dalla relativamente poca affluenza dovuta alla giornata feriale, però ho notato una presenza di pubblico decrescente secondo i tre settori; maggiore nei videogiochi, affollato il Fantasy e quasi deserto il settore storico, come evidenziato dalle tre foto seguenti.
Questo non fa altro che confermare che il settore storico, in campo ludico, è quello che “tira” di meno. La spiegazione a questo fenomeno, a mio parere, è dovuta alla sempre meno voglia (o capacità) di “fare” che si riscontra nella nostra società e non solo delle nuove generazioni.
Il videogioco offre un prodotto completo, già pronto e immediatamente usufruibile con pochi gesti.
Il Fantasy richiede già un minimo d’impegno in più, però trattandosi appunto di prodotti dove la fantasia gioca una larga parte, questo lascia ai giocatori un’ampia libertà. Nessuno potrà contestare un drago rosa a puntini blu o il fatto che un megaphablaster con un colpo possa eliminare un’intera squadriglia di caccia stellari. Inoltre, anche per il Fantasy, sono presenti molti prodotti “apri e gioca”, completi di tutto, regolamenti, miniature a volte già dipinte, ecc.
Il settore storico e più in particolare il wargame storico, richiede al contrario un grosso impegno. E’ difficile, infatti, trovare in questo settore prodotti “Apri e gioca”, anche se alcuni passi in questa direzione sono stati fatti, basti pensare ai modelli cosiddetti “Fast Assembly” in scala 1/72 realizzati in pochissimi pezzi di facile assemblaggio pur mantenendo un buon livello modellistico e a “Wings of War” gioco di combattimenti aerei dedicato a I e II Guerra Mondiale, vero prodotto “apri e gioca”.
Videogiochi e Fantasy ormai offrono per la maggior parte prodotti in italiano, al contrario nello storico prevalgono i prodotti in lingua inglese. Questa della lingua è una prima barriera contro la quale si scontra chi inizia a guardare allo storico. Per quanti sforzi ha fatto la scuola in questi ultimi decenni, l’inglese è ancora una lingua poco parlata in Italia, o almeno poco parlata dai potenziali giocatori di storico.
L’altro vero ostacolo con cui si scontra il potenziale interessato, quand’anche abbia superato quello della lingua, è il “dover fare”.
Al contrario degli altri due settori, per lo storico di pronto esiste poco o nulla. Una delle esperienze più comuni che mi capita, quando faccio qualche dimostrazione di wargame, è che molte persone credono che soldatini, mezzi ed elementi di paesaggio si trovino in negozio già dipinti e pronti all’uso. Nel momento in cui vengono a sapere del contrario, cioè che tutto il materiale deve essere comprato grezzo, poi montato e dipinto, dimostrano subito un immediato calo dell’entusiasmo e dell’interesse.
L’ultima barriera con cui si scontra il potenziale interessato è poi quella della ricerca storica. Nello storico nulla può essere inventato, ci si deve riferire sempre a della documentazione, per la pittura di soldatini e mezzi, per la ricostruzione degli scontri nonché per le potenzialità dei diversi armamenti.
Ecco questo è il vero problema dello storico: prima di poter giocare si deve “fare” e anche molto. In breve, c’è, infatti, la necessità di ricercare il regolamento più adatto alle nostre esigenze/gusti, eseguire ricerche storiche sia sulle uniformi sia sulle battaglie, reperire e dipingere le miniature necessarie, preparare gli elementi di paesaggio, provare lo scenario ed eventualmente studiare regole particolari per adattare il regolamento scelto, a particolari situazioni createsi nella realtà che vogliamo riprodurre sul tavolo da gioco. In una parola si deve ragionare con la propria testa.
Ovviamente per me questi aspetti rappresentano proprio la parte migliore e più avvincente che offre lo storico, ma purtroppo non sono in molti a pensarla così.
La tendenza odierna è il voler tutto pronto, assorbire tutto per endovena, senza sforzarsi ne ragionarci troppo sopra e il lavoro manuale (anche a livello di semplice hobby) non è più ben visto.
Per fare una divagazione culinaria, oggi quasi nessuno più usa la “mezzaluna” per tritare gli alimenti; eppure un cibo preparato con un trito fatto con la mezzaluna risulta molto più gustoso di uno realizzato con un trito fatto con un mixer elettrico.
Si dovrebbe cominciare dalla scuola, reinserendo nei programmi quelle che una volta erano chiamate “applicazioni tecniche”, in modo da abituare i ragazzi fin da piccoli all’uso di strumenti e attrezzi, in modo da permettergli l’acquisizione di una “manualità” che in ogni caso gli sarà utile nella vita, anche solo per poter riparare un rubinetto che perde a casa propria.
Con questo non voglio sostenere che consideri computer e videogiochi il male assoluto, anzi.
Se i computer e relativi programmi fossero effettivamente usati in modo consapevole dagli utenti, non avrei nulla da recriminare, però in quanti oggi, tra la stragrande maggioranza degli utilizzatori nati in epoca computerizzata, sanno come funziona un computer, da cosa è composto, che funzione svolgono i vari elementi e come si scrive un semplice programma? Quasi nessuno; perchè si sono trovati il prodotto gia pronto con il solo compito di utilizzarlo e questo hanno fatto.
Continuando così, il rischio è quello di avere una società composta di una maggioranza di usufruitori passivi che dipende da un piccolo gruppo di, chiamiamoli, “creativi”, in grado di progettare e realizzare i prodotti necessari alla massa.
Nessun commento:
Posta un commento