In tempi non sospetti (vedi post “Una serie di circostanze fortunate…” del 17 ottobre 2011) avevo scritto: “Un nostro marinaio che, per uno sfortunato, improvviso ed imprevisto rollio della nave invece di tirare la raffica di avvertimento davanti alla prua dell’imbarcazione pirata, la indirizzasse direttamente su questa uccidendo 5-6 pirati, poi dovrebbe vedersi inquisito dal solito solerte giudice per omicidio volontario?”
Mi ero solo sbagliato sulla nazionalità del giudice. Ma non preoccupatevi perché anche la nostra magistratura ha aperto un’inchiesta.
Mi riferisco ovviamente alla vicenda della Enrica Lexie, ormai ben nota.
Sul “Giornale” è apparso quello che dovrebbe essere il rapporto compilato dai militari di scorta, subito dopo l’attacco dei pirati.
“151600LT Feb mentre l’unità navale M/T Enrica Lexie navigava in coord 091702N-0760180E distanti 20 Nm dalla costa precisamente al largo di Allepey (India), l’Ufficiale di guardia in plancia informava il team di sicurezza di un bersaglio presente sul radar privo di numero identificativo a circa 3 Nm a prora dritta dell’unità con rotta a puntare.
Monitorata costantemente con radar e otticamente, questa risultava essere un’imbarcazione di piccole dimensioni. Alla distanza di circa 800 yards si effettuavano ripetuti flash con Panerai dall’aletta di dritta, ma senza alcun risultato; chiamata l’attivazione, mentre il dispositivo prendeva posizione, uno dei due operatori già in posizione sull’aletta di dritta palesava l’arma AR 70/90 portandola ben in vista verso l’alto, ciò non è servito a far cambiare rotta all’imbarcazione. Alla distanza di circa 500 yards è stata effettuata la prima raffica di avvertimento in acqua, ma anche questa risultava inutile per convincere l’imbarcazione ad allontanarsi, persistendo la sua rotta a puntare.
Successivamente una seconda raffica di avvertimento in acqua a circa 300 yards dopo che un operatore aveva dato l’allarme di persone con l’arma a tracolla a bordo, avvistati con l’ausilio del binocolo. L’imbarcazione continuava l’avvicinamento, in due uomini abbiamo continuato ad effettuare fuoco di sbarramento in acqua fin quando l’imbarcazione a meno di 100 yards cambiava direzione defilando sotto il nostro lato dritto, scarrocciando da poppa.
L’imbarcazione una volta defilata dalla nostra poppa non aveva una rotta definita, in quanto essa più volte ha ripreso la navigazione verso la nostra unità, tutto il team ha continuato a palesare le armi e flash di Panerai, fin quando l’imbarcazione a velocità spedita, dirigeva in direzione “mare aperto” allontanandosi definitivamente. Alle 1700LT ho ritenuto opportuno, data la notevole distanza dalla minaccia, cessare lo stato di allarme antipirata, svincolando l’equipaggio dal ricovero in cittadella.
Il team ha ripreso il suo servizio di sorveglianza.”
Dalla lettura del rapporto si evince che:
- l’attacco è avvenuto in acque internazionali;
- non sono stati sparati colpi di avvertimento in aria, come riportato dai giornali, (cosa peraltro inutile vista la distanza) ma gli si sono mostrate le armi e gli sono stati fatti dei segnali luminosi di avvertimento con il proiettore.
- sono state sparate due raffiche di avvertimento in acqua quando l’imbarcazione era a 500 e 300 metri dalla nave;
- vista l’inutilità dei precedenti avvertimenti: “in due uomini abbiamo continuato ad effettuare fuoco di sbarramento in acqua fin quando l’imbarcazione a meno di 100 yards cambiava direzione”, di conseguenza sarà stato qualche colpo in più dei 20 dichiarati (considerando raffiche da tre colpi e togliendo le due sparate prima, restano circa 4 raffiche, un po’ poche per un “fuoco di sbarramento”;
- sono state rispettate le regole di ingaggio e nessuno ha sparato sull’imbarcazione.
Da questo momento in poi c’è stata solo una catena ininterrotta di errori.
Infatti è successo che la Guardia Costiera indiana, avvertita dal peschereccio con i due morti a bordo, ha contattato la nave italiana chiedendogli di entrare in porto con la scusa di identificare i pirati che l’avevano attaccata che a loro dire erano stati catturati. La nave invece di proseguire la sua rotta come avrebbe dovuto fare e come gli era stato richiesto dalla Marina, sembra per decisione dell’armatore, entra in porto e fa sbarcare i due marò che sono arrestati dalla polizia indiana.
Vediamo in dettaglio gli errori commessi.
- la nave doveva continuare la sua rotta, ben sapendo a cosa sarebbe andata incontro entrando in porto. A questo punto, visto che la responsabilità della decisione pare sia stata esclusivamente dell’armatore (sempre che non emergano responsabilità del nostro Ministero degli esteri), mi sembrerebbe più che naturale che il governo sospenda tutte le scorte alle navi di quell’armatore, che il RINA e la Guardia Costiera effettuino accurate ispezioni per le parti di competenza su tutte le navi di quella società, mentre la Guardia di Finanza si potrebbe occupare della contabilità. Questo a mo di ringraziamento per il casino in cui ha messo l’Italia e di lezione per gli altri.
- Una volta entrati in porto (e anche qui si dovrebbe accertate di chi è stata la responsabilità) non si doveva far sbarcare i due marò. Se gli indiano li volevano, che andassero pure a prenderli con la forza, attuando quello che chiaramente diventava un atto di guerra.
- una volta successo comunque il danno, il governo doveva intervenire immediatamente, inviando subito i suoi funzionari, sia sulla nave sia a indagare e raccogliere prove sul peschereccio. Il nostro caro primo ministro doveva attaccarsi al telefono e chiamare il suo omologo indiano minacciandolo di ogni possibile calamità, se non avesse liberato subito i marinai e fatto ripartire la nave. Ma questa ovviamente è fantapolitica, ben altro atteggiamento avrebbero avuto inglesi o americani. Pretendere che i nostri politici facciano i duri con qualcuno che non sia un pensionato o un lavoratore dipendente, è effettivamente chiedergli troppo.
Indipendentemente dal fatto che possa esserci stato uno scambio di imbarcazioni o attacchi a una nave greca, le accuse degli indiani mi sembrano alquanto pretestuose e inconsistenti. Se infatti il peschereccio fosse stato veramente attaccato dagli italiani, quale miglior prova che mostrare i proiettili recuperati dallo scafo e dal corpo dei due pescatori uccisi; a quel punto sarebbe stato del tutto legittimo, da parte dell’India, pretendere e ottenere una prova balistica sulle armi in dotazione al team antipirateria, ed in caso di effettiva rispondenza, chiedere un risarcimento all’Italia.
Ma la questione può essere osservata anche da un altro lato. Ammettiamo che il peschereccio in questione sia veramente l’imbarcazione pirata che si è avvicinata alla nave italiana e che il team antipirateria, una volta avvicinatasi troppo, abbia sparato (volontariamente o no) a bordo colpendo due uomini dell’equipaggio. A questo punto cosa impediva ai pirati, vista sfumare la preda e le perdite subite, di buttare le armi a mare, chiamare la Guardia Costiera indiana e dichiarare di essere innocui pescatori, barbaramente attaccati da una nave italiana?
Viste le reticenze indiane, è un’ipotesi del tutto legittima.
E’ circolata anche la voce che qualcuno del team abbia fatto delle foto alla nave pirata, però non si è saputo altro ne si sono viste le foto, che sarebbero la prova migliore per scagionare l’Italia.
Lesson Learned
Vediamo quale dovrebbe essere la lezione imparata, come dicono gli americani, da questa vicenda. Secondo me c’è molto da imparare e, si spera, da mettere in atto:
- Chiarire ad armatori e comandanti che le navi devono continuare la loro rotta. Se si viene costretti comunque con la forza a entrare in un porto (ma questo è già un atto di guerra), rallentare il più possibile la navigazione in modo da avvertire e dare il tempo di agire alle nostre autorità. Soprattutto, una volta in porto, non far sbarcare assolutamente il personale.
- Data la natura principalmente diplomatica di questi episodi, vicende analoghe dovrebbero essere seguite dall’unità di crisi della Farnesina, di cui dovrebbe far parte un ufficiale di marina di grado elevato e di vasta esperienza. Il team imbarcato dovrebbe essere dotato di idonei strumenti di comunicazione diretta con l’unità di crisi.
- Dotare il team di una videocamera con un ottimo zoom, in modo da permettere la ripresa di tutte le azioni ostili e difensive, così da avere un documento di quanto effettivamente accaduto.
- Dotare il team delle sole armi portatili è insufficiente, visto che le sole raffiche degli AR 70/90 non hanno fatto desistere l’imbarcazione dall’avvicinarsi alla nave. Dovrebbero avere in dotazione almeno un AR 70/90 munito di lanciagranate e due mitragliatrice MG 42/59, una per aletta di plancia.
- Organizzare delle campagne pubblicitarie, nei paesi rivieraschi delle aree a rischio pirateria, avvertendo che le navi mercantili italiane viaggiano con scorte armate a bordo, quindi le imbarcazioni locali evitino di avvicinarsi e in caso di segnalazioni luminose o raffiche di avvertimento, invertano subito la rotta. Ogni ulteriore avvicinamento a meno di 500 metri sarà a loro rischio e pericolo.
La cosa grave, che ancora non mi sembra si sia stata ben capita in questo assurdo paese, è che ad essere accusati di un delitto, probabilmente non commesso, non sono i due marò, ma è l’Italia stessa. I due marò in quanto appartenenti alle Forze Armate rappresentano e SONO l’Italia, pertanto ogni atto da loro fatto, è fatto dall’Italia.
Il problema è che in India la vicenda viene usata a fini di politica interna, gli indiani mal sopportano che alla guida del Partito del Congresso possa esserci una straniera, italiana guarda caso. Mentre l’Italia avrebbe in questo momento forti interessi industriali e commerciali con l’India (anche se per volume di scambi è agli ultimi posti dei partner commerciali dell'India), quindi figuriamoci se il nostro governo dei banchieri e dei mercanti si mette a fare la voce grossa. Come al solito ci siamo calati le brache.
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